Affrontiamo un tema un po' complesso: la fiscalità differita, elemento chiave per la corretta rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria di un'impresa.
Ma cosa intendiamo con il termine “differita”?
Si tratta precisamente della differenza tra il valore fiscale e il valore civilistico di alcune componenti del bilancio, come ad esempio i beni ammortizzabili, i costi deducibili e i ricavi tassabili.
Inutile dirlo, il mondo delle imposte è un mondo complesso.
Non tutto ciò che viene contabilizzato in conto economico può essere un ricavo imponibile o un costo deducibile.
Se così fosse, sarebbe davvero troppo bello…
In realtà esisterebbe il c.d. “principio di derivazione rafforzata” che punta a determinare il reddito imponibile direttamente dall’utile ante imposte di conto economico; tuttavia, la sua concreta realizzazione pare molto in là da venire.
La disciplina fiscale, infatti, nella sua "immensa severità", si diverte a disconoscere come deducibili alcuni componenti negativi di reddito, oppure, se siamo fortunati, a limitarsi a dilatare nel tempo la deducibilità degli stessi.
Parlando di ricavi, dove il fisco manifesta invece "immensa bontà", in alcuni casi essi non costituiscono reddito (si pensi ad alcune categorie di contributi pubblici) o in altri casi questi ricavi vengono tassati in maniera diluita nel corso del tempo.
Da ciò scaturiscono due grandi mondi di differenze fra il reddito civilistico e il reddito fiscale.
Queste ultime, le cosiddette differenze temporanee, sono quelle che danno origine al mondo della fiscalità differita che crea due differenti categorie:
Focalizziamoci ora sulle imposte anticipate.
Queste generano un attivo di bilancio, quando un costo, seppure inerente all’attività, viene reso deducibile dalla normativa fiscale in modalità scaglionata nel tempo.
Meglio un esempio?
La normativa fiscale prevede che le spese di manutenzione dei cespiti siano deducibili nell’anno in cui sono effettivamente sostenute sino a un limite pari al 5% del valore dei beni ammortizzabili. L’eccedenza (da cui nascono le imposte anticipate) è deducibile in quote costanti nei 5 esercizi successivi.
Immaginiamo a questo punto di dilazionare un importo pari a 500.000 € e che l’aliquota fiscale sia pari al 24%. A bilancio iscriveremo, quindi, un “credito per imposte anticipate” pari a 120.000 €, ovvero pari al beneficio fiscale che otterremo in futuro quando i 500.000 € saranno divenuti deducibili fiscalmente.
E per quanto riguarda le imposte differite?
Raramente il Fisco rende tassabili componenti positivi di reddito in maniera dilazionata. Perciò in bilancio si rileva un debito per le future imposte che saranno versate e che viene iscritto nella voce passiva “fondo per imposte differite”.
Ipotizziamo ora di aver registrato una plusvalenza per la cessione di un immobile aziendale detenuto da più di tre anni, pari a 1.000.000 €.
La disciplina fiscale consente di tassare la plusvalenza in 5 esercizi.
Il primo è quello in cui si registra la plusvalenza, cui va aggiunto un differimento di 4 anni. Quindi i primi 200.000 € saranno tassati nell’anno; mentre i restanti 800.000 € saranno tassati nei 4 anni successivi.
Immaginiamo un’aliquota fiscale del 24%. Posticipando la tassazione di 800.000 € abbiamo differito 192.000 € (800.000 x 24%) di imposte che quindi registreremo a bilancio nel fondo per imposte differite.
Semplice vero?
Scherzi a parte possiamo affermare che la fiscalità differita è un fondamentale strumento per la rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria di un'impresa. Essa consente di migliorare la trasparenza e l'informativa del bilancio, fornendo agli utenti una migliore comprensione dell'impatto delle imposte sul risultato d'esercizio, dei debiti e dei crediti fiscali e sulla futura posizione finanziaria dell'impresa.
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