L’evoluzione della specie…


Indicatori di bilancio sempre più affinati!

L’evoluzione della specie…

L’analisi di bilancio attraverso indici ha il grande pregio di offrire una visione “composta” delle performance aziendali. Valori economici possono essere messi a sistema con parametri patrimoniali o, addirittura, da dimensioni numeriche possono essere estratti dati misurati in termini di tempo: si pensi ad esempio agli indici di rotazione del magazzino.

Affidare l’analisi delle performace aziendali ai meri indici di bilancio rappresenta, tuttavia, un’arma a doppio taglio.

Gli indicatori sono rapide scorciatoie ma, come tutte le vie brevi, peccano di eccessiva sintesi rischiando di offrire una visione distorta.

La scienza della finanza aziendale conosce bene tali limiti e il “cantiere” degli indicatori è sempre aperto alla ricerca di indici sempre più precisi e, soprattutto, utili.

In questo contributo ci soffermiamo sullo stato dell’arte di indicatori dedicati allo studio e alla gestione di un particolare fenomeno: la sostenibilità del debito e della gestione operativa.

In particolare, ne esaminiamo quattro.

I primi due necessari a misurare lo stato dell’arte e i secondi due necessari a comprendere quali interventi implementare in presenza di problematiche.

 

I primi due che affrontiamo sono balzati agli onori delle cronache nientemeno che grazie alla BCE.

A seguito della grande crisi finanziaria del 2008 la BCE passò anni ad occuparsi della c.d. “asset quality review” (AQR), ovvero la verifica della qualità dei crediti concessi dalle banche al sistema, imponendo agli istituti di credito di verificare la sostenibilità del debito degli affidati, fra gli altri, attraverso due particolari indici:

  • DSCR - Debt Service Coverage Ratio (guarda il focus webinar)
  • PFN/EBITDA - Posizione Finanziaria Netta su Earnings before interest, taxes, depreciations & amortizations (guarda il focus webinar)

Concentriamoci sul DSCR.

Il DSCR nasce nel mondo del project finance ed è uno degli indici utilizzato per valutare la sostenibilità degli investimenti assieme ad altri indicatori quali Loan life coverage ratio – LLCR e Project life coverage ratio – PLCR.

Qual è il suo pregio e come mai è divenuto così importante?

Il DSCR è uno dei pochissimi indicatori che pone a sistema due flussi di cassa: il flusso di cassa operativo che un’azienda è grado di produrre durante un anno viene diviso per il flusso di cassa necessario a rimborsare l’indebitamento per capitale e interessi del medesimo anno.

DSCR = Cash Flow Operativo/Servizio annuo del debito

Naturalmente tale indicatore deve essere assolutamente maggiore di 1 in quanto un’azienda per definirsi “sana” deve poter coprire i propri impegni finanziari (il c.d. “debt service”) con il flusso di cassa che è in grado di produrre.

Utilizzare questo indicatore è una grande evoluzione concettuale, si passa dall’esaminare i redditi e le garanzie all’esaminare nel profondo la dimensione finanziaria concentrandosi sulla capacità di generare cash flow.

Veniamo ora all’indicatore PFN/EBITDA.

Al numeratore della formula troviamo la Posizione Finanziaria Netta (PFN), che corrisponde alla differenza tra i meri debiti finanziari e la liquidità disponibile.

Al denominatore si posiziona l'EBITDA, che è il margine operativo risultante dall'attività ordinaria dell'azienda. L'EBITDA si calcola sottraendo dai ricavi i costi per consumi, i costi fissi e variabili, e i costi amministrativi e generali.

Cosa rappresenta questo indice?

Se ci pensiamo il rapporto PFN/EBITDA esprime in “quanti anni” un’azienda è in grado di ripagare i debiti finanziari contratti ove utilizzasse la totalità dei suoi flussi operativi “potenziali” (EBITDA) per tale finalità (ad esempio il valore di 4 indica che l’impresa è in grado di ripagare il debito in 4 anni).

Quale dovrebbe essere il valore ideale del rapporto PFN/EBITDA?

È intuitivo che maggiore è il valore del rapporto, minore è la capacità dell'azienda di estinguere il debito contratto. Viceversa, un valore più basso del rapporto indica una maggiore capacità dell'impresa di generare valore e, quindi, di ripagare i suoi debiti.

Secondo le valutazioni degli istituti di credito, rafforzate dalle prescrizioni dell’AQR della BCE degli ultimi anni, il rapporto non dovrebbe superare il valore soglia di 5 che indicherebbe una situazione di buon equilibrio finanziario.

Misurato, quindi, lo stato dell’arte con DSCR e PFN/EBITDA che fare in presenza di cambiamenti che introducono nuove uscite finanziarie fisse in azienda che potrebbero scardinare gli equilibri?

In tal senso ci vengono in aiuto due indicatori originali la cui paternità è dell’ufficio studi di inFinance che da sempre è attiva nella ricerca nel mondo della finanza aziendale. Si tratta del:

I due indicatori restituiscono due “leve” ovvero due moltiplicatori da applicare ai volumi aziendali per tutelare redditività e sostenibilità del debito.

Vediamoli singolarmente.

Il moltiplicatore dei costi fissi è una evoluzione del concetto di margine di contribuzione espresso in percentuale.

Il margine di contribuzione è pari alla differenza fra il valore della produzione ed i soli costi variabili. Per esprimerlo in percentuale va poi diviso per il valore della produzione.

Immaginiamo, quindi, un’impresa che registri un valore della produzione di 1.000.000 € sostenendo 750.000 € di costi variabili. Il suo margine di contribuzione sarebbe pari a 250.000 € nonché pari al 25% del valore della produzione.

Come nasce il concetto di moltiplicatore dei costi fissi muovendo dal margine di contribuzione in percentuale?

Facciamo una semplice riflessione: se l’impresa in esame dovesse coprire col proprio margine di contribuzione un solo euro di costi fissi quanto dovrebbe fatturare?

La risposta è il semplice rapporto fra l’euro di costi fissi ed il margine di contribuzione in percentuale.

Nel nostro esempio:

Moltiplicatore dei Costi Fissi =1/(MdC%) = 1/0,25=4

Il moltiplicatore pari a 4 ha un significato molto pratico nella realtà aziendale.

Esso comunica che per coprire un euro di costi fissi in più è necessario realizzare 4 euro in più di fatturato per coprire quell’euro.

Gli utilizzi sono molteplici, se osservassimo ad esempio che l’azienda sta perdendo 100.000 € di fatturato immediatamente potremmo dedurre che registrerà 25.000 € di calo di margini e quindi avrà 25.000 € in meno disponibili per sostenere le uscite finanziarie fisse.

Ulteriormente se osservassimo che l’impresa sta introducendo 50.000 € di nuovi costi fissi sapremmo che sarà necessario fatturare almeno 200.000 € (50.000*4) in più che meramente coprire tali costi fissi.

Ma alla finanza d’azienda il fatto che sono necessari 200.000 € per coprire i nuovi costi fissi pari a 50.000 € non basta.

Introduciamo l'Ebitda margine lever.

Aumentare il fatturato per registrare un mero pareggio deprime le performance aziendali.

Perché?

Immaginiamo che l’impresa di cui sopra registrasse un Ebitda margin (ovvero il rapporto fra Ebitda e Valore della produzione) del 10% come segue:

Incrementiamo ora il valore della produzione per pareggiare l’incremento dei costi fissi:

Notiamo che sebbene l’Ebitda sia stato mantenuto al valore di 100.000 € la redditività in termini di Ebitda margin è calata all’8,33% dal 10% precedente.

L’Ebitda margin lever consente di calcolare di quanto deve crescere il valore della produzione non solo per coprire i 50.000 € ulteriori ma anche per difendere il 10% di Ebitda margin.

Come si calcola?

Ebitda Margin Lever =1/(MdC%-Ebitda Margin%) = 1/0,15= 6,67

L’indicatore comunica che per sostenere i nuovi costi fissi pari a 50.000 € e ottenere non solo il pareggio ma anche il medesimo Ebitda margin occorre che i volumi crescano per 6,67 volte il valore dei nuovi costi fissi ovvero 50.000 € * 6,67 = 333.333,33:

Come abbiamo avuto modo di vedere gli strumenti ora disponibili per le analisi e le decisioni finanziarie sono davvero evoluti e decisamente potenziati.

Gli indicatori si evolvono e così devono evolvere anche le competenze delle imprese.

Autore: ufficio studi inFinance

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