Oggigiorno, in fase di analisi di bilancio, non è raro che emerga il concetto di “EBITDA”. Possiamo dire, infatti, che tale indice “is the new black” in quanto indicatore molto di moda ed utilizzato soprattutto nelle operazioni di M&A ed ai fini del calcolo della sostenibilità del debito aziendale.
Cerchiamo anzitutto di capire di cosa di tratta e come viene calcolato.
Il termine EBITDA è l’acronimo di earnings before interest taxes depreciation and amortization e rappresenta il reddito della gestione caratteristica realizzato dall’impresa al lordo degli ammortamenti e delle svalutazioni di immobilizzazioni.
Come lo calcoliamo? Per cominciare, è opportuno precisare che in merito all'EBITDA i principi contabili non offrono una definizione precisa, per questo motivo è chiamato anche "indicatore alternativo di performance", poiché non definito "ufficialmente" dagli OIC o dagli IAS/IFRS. Esso si ottiene semplicemente dal saldo tra il valore della produzione (sezione A del conto economico) e i costi operativi (sezione B del conto economico) risommando gli ammortamenti e le svalutazioni delle immobilizzazioni (voci B 10) a, b e c del conto economico).
Attenzione, tuttavia, a non cadere in luoghi comuni, confondendo l'indicatore "anglosassone" EBITDA con quello italiano del MOL (ovvero il margine operativo lordo), utilizzando, come spesso accade, i due quali concetti equivalenti.
Ricordiamo sempre che il diavolo sta nei dettagli!
Muoviamoci per gradi e cerchiamo di capire perchè i due indicatori sono distinti.
L'acronimo MOL, semplicemente, indica il margine operativo lordo e diverge dall'EBITDA in quanto, a differenza di quest'ultimo, i costi per accantonamenti a fondi (es: accantonamento a fondo rischi e oneri, accantonamento a fondo TFR), non vengono ricompresi nel calcolo.
A questo punto un quesito sorge spontaneo: "Quale dei due indicatori è meglio utilizzare in fase di riclassificazione e analisi di bilancio?". Senza dubbio l'EBITDA risulta essere la soluzione. Tale indice assumerà un valore inferiore rispetto al MOL, al quale si eguaglierà in assenza di accantonamenti.
Ora che abbiamo capito come si calcola il nostro EBITDA esaminiamo un esempio con i seguenti calcoli.
Immaginiamo di operare con i dati di un'azienda X, che presenta la seguente situazione:
Valore della produzione = 11.990.000€
Costi della produzione = 8.095.600 €
Acquisti: 5.345.600 €
Servizi: 1.546.000 €
Godimento beni di terzi: 757.097 €
Accantonamenti: 250.890 €
Ammortamenti delle immobilizzazioni materiali ed immateriali: 144.756 €
Oneri diversi di gestione: 51.257 €
Dai dati di partenza possiamo calcolare semplicemente il valore sia il valore dell'EBITDA che del MOL:
Come ci muoviamo? Con i dati a disposizione l'EBITDA è ottenuto come differenza tra il Valore della Produzione e i costi operativi a cui vengono risommati gli ammortamenti delle immobilizzazioni.
Effettuando i dovuti calcoli otterremo quindi un EBITDA pari a 4.039.156€ (= 11.990.000 - 8.095.600 + 144.756).
Se volessimo essere ulteriormente precisi, rapportando semplicemente il valore dell'EBITDA, appena calcolato, al valore della produzione otterremmo un altro indice di bilancio molto interessante, ovvero l'EBITDA margin.
Esso risulta essere pari al 33,68% (= 4.039.156/ 11.990.000).
A partire dai medesimi dati calcoliamo anche il valore del MOL.
In che modo? Beh, come in precedenza effettuiamo la differenza tra il Valore della Produzione e i costi operativi, risommando gli ammortamenti. Per calcolare il MOL, a questo punto, risommiamo anche il valore degli accantonamenti, in quanto non vengono contemplati nella formula del MOL.
Il valore del MOL risulta così essere pari a 4.290.046€ (= 11.990.000 - 8.095.600 + 144.756 + 250.890).
Ora che abbiamo meglio compreso l'EBITDA e lo abbiamo selezionato quale indicatore passiamo a farne
uso in contesti molto particolari: quello delle acquisizioni d'azienda e di analisi approfondita dell'impresa.
Perchè proprio in tali contesti? Cosa accade di particolare? Immaginiamo di trovarci nel contesto di cessione d'azienda e che l'acquirente valuti l'impresa 6 volte l'EBITDA al netto della posizione finanziaria
netta. Quale sarebbe il primo "impulso" che proviamo? Quello di invitare a correggere l'EBITDA da componenti non ricorsive o "inquinanti" per determinare un EBITDA piùrappresentativo dell'impresa.
Il calcolo di cui sopra, può determinare un nuovo indicatore ovvero: l'EBITDA "adjusted" o "normalizzato".
Cosa significa normalizzare l'EBITDA di bilancio? Cosa comporta tale operazione sul valore iniziale dello stesso? Scopriamolo subito!
Comunemente nell'operare la differenza A-B per giungere al calcolo dell'EBITDA, vengono ricomprese alcune voci di costo e/o ricavo di carattere straordinario ed eccezionale, che possono generare impatti significativi sull'EBITDA ed in quanto tali da valutare con molta attenzione. Tra queste possiamo sicuramente annoverare le seguenti voci di costo e ricavo.
gli incrementi di immobilizzazioni per lavori interni, iscritti nella voce A4) del conto economico;
gli altri ricavi, iscritti nella voce A) 5 del conto economico, ad esempio indennizzi assicurativi,
plusvalenze e contributi in c/esercizio;
"extra" compensi agli organi amministrativi, contabilizzati nella voce B 7) del conto economico;
le svalutazioni dei crediti dell'attivo circolante, contabilizzati nella voce B 10) d) del conto
economico;
gli oneri diversi di gestione, alla voce B 14) del conto economico, ad esempio minusvalenze, costi
per operazioni straordinarie, oneri legati a contenziosi legali...
Immaginiamo di voler affrontare un procedimento di valutazione d'azienda. Per valutare il valore del capitale economico della stessa spesso si muove da un moltiplicatore dell'EBITDA. Quest'ultimo, tuttavia, può risultare "alterato" e non rappresentare il valore reale dell'azienda in questione, proprio per effetto dell'inclusione di quei costi e/o ricavi straordinari ed eccezionali precedentemente elencati.
Come fare quindi a "normalizzare l'EBITDA" e depurarlo da quei componenti di reddito? Ecco che viene in nostro aiuto l'EBITDA adjusted !
In caso di cessione d'azienda, infatti, si deve procedere alla normalizzazione del risultato reddituale; ovvero occorre espungere gli elementi elencati sopra in quanto non presentano carattere di ricorrenza.
Riprendiamo i numeri del nostro esempio, ed immaginiamo che all'interno della voce A5) siano compresi 50.789 € di contributo in c/esercizio e nella voce B7) siano compresi 150.000€ di compensi agli organi amministrativi a amministratori non operativi che sono meri componenti della famiglia remunerati dall'azienda ma occupati in altre attività. Il nuovo Valore della Produzione è 11.990.000 - 50.789 = 11.939.211€ e i costi per servizi diminuiscono, in seguito alla rettifica dei compensi amministratori, e ammontano a 1.396.000 €
Ecco che l'EBITDA "Adjusted" ovvero "Normalizzato" diviene pari a 4.138.367€ (ovvero pari al 34,66% del Valore della Produzione adjusted ).
Ed ecco che otteniamo il nostro nuovo valore dell'EBITDA, l'EBITDA "normalizzato" da elementi non ricorrenti e non caratteristici, in grado di esprimere la reale redditività della gestione caratteristica dell'impresa. Come è possibile evincere tale valore risulta essere superiore rispetto all'EBITDA di bilancio non rettificato da quegli elementi straordinari.
Questo nuovo valore potrò, se condiviso nei principi e nei criteri di normalizzazione, essere utilizzato per valutare l'azienda o valutarne le performances. Se ci pensiamo, infatti, chi acquisirà l'azienda ad esempio procederà alla nomina di nuovi amministratori stabilendo compensi adeguati e non magnificati magari per questioni di "quiete familiare".
Autore: Ufficio studi inFinance
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